Gigi Buffon, un giorno le critiche feroci, quello successivo le parole di zucchero. Ormai il ritornello è scritto, addirittura divenuto ossessivo dopo quel Mondiale sudafricano dal quale ne uscì a pezzi soprattutto a livello fisico. Il Buffon delle meraviglie, intoccabile e sopra ogni concorrente mondiale nel ruolo, finisce lì. Soprattutto per la componente mediatica che tende a costruire personaggi-mito per necessità salvo poi cercare di annientarli per gusto di critica. Scrivere editoriali con questo spirito è facile come deglutire un bicchier d’acqua, salvo prendersi qualche sorso di traverso.
Il portiere dei portieri (un anno secondo soltanto a Dida, l’altro a Julio Cesar, poi forse a Cech e quindi a Neuer) ha attraversato quattro generazioni di colleghi sempre a livelli stratosferici. Per gli altri restano le singole glorie. Questo non significa che il Buffon di oggi sia uguale al Buffon di ieri, anzi, tant’è che il Buffon di Lippi e Capello non era già più il Buffon di Parma e quello di oggi non è quello della Serie B bianconera, trascorsa per scelta di vita (e non per convenienza contrattuale, visto che è la stagione da fresco campione del mondo in carica) a godersi le curve di provincia. Buffon è Buffon, anche nelle sue mutazioni: la nuova creatura pare il distillato di una carriera, ovvero l’identikit del superuomo capace di esser decisivo nelle gare importanti. Nulla di meglio, per un estremo difensore.
La chiave resta sempre una: il talento. Che è un po’ come il sesso: non contano le dimensioni, ma come lo usi. Come, dove e quando lo usi. Di talentuosi in giro non ce ne sono, lui si rivede in Perin ma il tasso di concentrazione e le basi atletiche sono ancora distanti anni luce. In più Perin rischia di scottarsi sul più bello, ovvero esattamente quando invece Buffon colse al volo ogni singola occasione sempre con prestazioni eccezionali. Anche in questo si racchiude il talento, e con il tempo l’autogestione porta a limitare i cosiddetti “miracoli” lasciandoli al momento topico della sceneggiatura.
Monaco di Baviera, fino a prova contraria, resta un parentesi; il Bertolacci leccese allo Stadium un lapsus freudiano. E non è una difesa a oltranza, perché è oggettivo che Buffon abbia ormai dato il meglio. Ma intorno, in Italia, ci sono soltanto briciole, con un carrozzone di discreti “secondi” a fare i titolari in Serie A (Curci, Padelli, Brkic, Neto, Da Costa, Abbiati, Puggioni…) che non meritano neppure 5 minuti per un editoriale congiunto. L’Europa è forse un’altra cosa, ma superuomini non ce ne sono più. Consultare sotto la voce Casillas per capirne di più.
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